Placeholder address.
info@paradigma.it
011 538686

Parità retributiva e lavoro di pari valore: cosa prevede la Direttiva UE 2023/970 e il coordinamento con la legge italiana 162/2021

Parità retributiva e lavoro di pari valore: cosa prevede la Direttiva UE 2023/970 e il coordinamento con la legge italiana 162/2021

La parità retributiva e il riconoscimento del lavoro di pari valore rappresentano da tempo un principio cardine del diritto europeo e nazionale, sancito dall’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla Costituzione italiana, che garantisce a ogni lavoratore una retribuzione proporzionata e sufficiente. Nonostante ciò, i dati confermano che il divario salariale di genere persiste, spesso nascosto da criteri di inquadramento e valutazione non sempre trasparenti.

 

In Italia un passo decisivo è arrivato con la legge 162 del 2021, che ha introdotto la certificazione della parità di genere e ha ridefinito il concetto di lavoro di pari valore, prevedendo incentivi contributivi per le imprese virtuose. Questo impianto normativo trova oggi un rafforzamento nella direttiva europea 2023/970, che gli Stati membri dovranno recepire entro il 7 giugno 2026.

 

La direttiva segna un cambio di paradigma, perché non si limita a vietare le discriminazioni ma impone misure concrete di prevenzione e controllo. I datori di lavoro dovranno garantire trasparenza sin dal momento del reclutamento, indicando il livello o il range retributivo nei job posting e astenendosi dal chiedere la storia salariale dei candidati. All’interno delle organizzazioni, i criteri di determinazione e progressione salariale dovranno essere oggettivi e neutrali rispetto al genere, rendendo possibile per ogni lavoratore richiedere informazioni sul proprio livello retributivo e sulla media dei colleghi in posizioni comparabili.

 

Le imprese di dimensioni medio-grandi saranno tenute a redigere report periodici sul gender pay gap, con scadenze differenziate in base alla forza lavoro: annuali per i datori sopra i 250 addetti, triennali per quelli tra 150 e 249 e, dal 2031, anche per le aziende tra 100 e 149. Qualora emerga un divario medio pari o superiore al 5% in una categoria professionale e questo non sia giustificato da criteri oggettivi né corretto entro sei mesi, scatterà l’obbligo di una valutazione congiunta con i rappresentanti dei lavoratori per individuare le cause e adottare misure correttive.

 

A livello processuale la direttiva rafforza la posizione dei lavoratori, prevedendo lo spostamento dell’onere della prova sul datore di lavoro in caso di indizi di discriminazione o di mancato rispetto degli obblighi di trasparenza, e introducendo sanzioni proporzionate e dissuasive.

 

Il coordinamento con la normativa italiana appare naturale: la legge 162 del 2021 ha già posto le basi con la certificazione e con meccanismi premiali come l’esonero contributivo fino a 50.000 euro annui. L’attuazione della direttiva potrà quindi potenziare strumenti già esistenti, integrandoli in un quadro organico che mira a ridurre in modo strutturale il gender pay gap.

 

Per le imprese l’impatto sarà rilevante: sarà necessario rivedere policy HR, sistemi di inquadramento e procedure di controllo interno, ma si aprirà anche l’opportunità di migliorare l’attrattività aziendale, la retention dei talenti e la reputazione sul mercato del lavoro. La sfida è trasformare l’obbligo di compliance in un motore di crescita sostenibile, in linea con i valori di equità e inclusione che ormai costituiscono un vero fattore competitivo a livello europeo.

Condividi