Legittimo il controllo del lavoratore tramite agenzie investigative
I controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 Stat. Lav.
La Corte di Appello di Bari, confermando la sentenza del giudice di primo grado, rigettava con la Sentenza n 6174/2019 la domanda proposta dal lavoratore avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimatogli dalla società datrice di lavoro.
A fondamento della propria decisione, la Corte territoriale osservava che, all’esito dell’indagine investigativa disposta dalla società datrice all’esterno del luogo di lavoro, era stato contestato al lavoratore di essersi ripetutamente allontanato dal posto di lavoro in tredici giornate durante l’orario di servizio, rimanendo assente per diverso tempo – da quindici minuti a più di un’ora -, senza timbrare il badge in uscita, facendo così risultare la regolare presenza in servizio.
In merito alla legittimità delle indagini investigative, la Corte territoriale evidenziava che gli artt. 2, 3 e 4 della legge n. 300/1970 riguardano il controllo sull’adempimento dell’obbligazione lavorativa, e non anche il controllo sui comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale, con la conseguenza che devono ritenersi consentiti i cosiddetti “controlli difensivi”, intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa, eseguibili anche mediante agenzie investigative private.
Il lavoratore proponeva ricorso, argomentando che, non essendovi prova che egli si fosse reso responsabile di fatti illeciti nell’esercizio delle mansioni fuori dei locali aziendali, o che avesse prestato la sua opera in favore di aziende concorrenti, o che avesse svolto alcuna attività illecita, l’unico comportamento illecito da verificare era costituito esclusivamente dall’abbandono del posto di lavoro.
Sosteneva quindi che l’indagine investigativa dovesse considerarsi illegittima in quanto lo stesso era stato pedinato dopo l’uscita dal luogo di lavoro, dall’ufficio fino all’abitazione e viceversa o fino al bar, laddove l’indagine medesima avrebbe dovuto limitarsi a registrare i suoi movimenti di entrata e di uscita dall’ufficio.
La Suprema Corte rigettava il ricorso, osservando che i giudici di appello avevano correttamente applicato il principio secondo il quale i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente.
La Suprema Corte ha altresì osservato che nella fattispecie di causa il controllo non era diretto a verificare le modalità di adempimento della prestazione lavorativa, bensì la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro nonostante la timbratura del badge. Sotto altro profilo la Suprema Corte riteneva che nemmeno poteva considerarsi sussistente nella specie la lamentata violazione della privacy del dipendente, seguito nei suoi spostamenti, in quanto il controllo era stato effettuato in luoghi pubblici ed era finalizzato ad accertare le cause dell’allontanamento.
La tematica verrà affrontata nell’ambito del Workshop “ I controlli a distanza sull’attività dei lavoratori” che si terrà a Milano il 22 maggio 2019.
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