I licenziamenti per scarso rendimento e superamento del periodo di comporto | Angelo Zambelli
Segnaliamo l’interesante articolo dell’Avv. Angelo Zambelli, Co-Managing Partner di Grimaldi Studio Legale, su I licenziamenti di ricostruzione giurisprudenziale.
Il tema dello scarso rendimento sarà approfondito nell’ambito dell’evento organizzato da Paradigma in modalità videoconferenza il prossimo 6 maggio su La gestione dei fenomeni di scarso rendimento.
I licenziamenti di ricostruzione giurisprudenziale
In assenza di riferimenti normativi ad hoc, la giurisprudenza ha avuto un ruolo determinante al fine di elaborare le fattispecie di licenziamento per: (i) scarso rendimento e (ii) superamento del periodo di comporto.
(i) Lo scarso rendimento o “poor performance” è una causa di legittima cessazione del rapporto di lavoro che sussiste quando la produttività del lavoratore risulti notevolmente al di sotto della media degli altri lavoratori (Cass. 10 novembre 2017, n. 26676).
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario considera lo scarso rendimento un’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo che sussiste per l’appunto, qualora il lavoratore con dolo o colpa produca meno, male o con tempistiche eccessive rispetto alla media degli altri lavoratori.
In alcuni casi, il licenziamento in parola è stato ricondotto nell’alveo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo allorché, a prescindere dalla ricorrenza di un inadempimento imputabile, la prestazione di lavoro sia risultata oggettivamente non più utile o proficuamente utilizzabile per il datore di lavoro. Emblematico è il caso delle assenze per malattia riferibili ad una sorta di “tatticismo strategico” in quanto numerose, di breve durata e a “macchia di leopardo”. In tale contesto è stato ritenuto legittimo il recesso per giustificato motivo oggettivo intimato ad un lavoratore che, pur senza superare il periodo di comporto, aveva collezionato numerose assenze di breve durata, ma reiterate e costantemente “agganciate” ai giorni di riposo (Cass. 4 settembre 2014, n. 18678; contr.Cass. 7 dicembre 2018, n. 31763).
(ii) Il licenziamento per superamento del periodo di comporto viene qualificato dalla giurisprudenza maggioritaria quale tertium genus, al più “assimilabile” al giustificato motivo oggettivo ma ontologicamente diverso da quest’ultimo (Cass. 22 maggio 2018, n. 12568). Ne discende che il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente di legittimità del recesso, pertanto non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo, né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né tanto meno grava sul datore alcun obbligo di repêchage (Cass. 20 maggio 2013, n. 12233).
Il licenziamento va intimato senza ritardo per non ingenerare nel lavoratore alcun affidamento sulla prosecuzione del rapporto di lavoro, tuttavia l’interesse del lavoratore alla certezza del rapporto di lavoro va contemperato con quello del datore di lavoro a disporre di un ragionevole “spatium deliberandi”, affinché egli possa valutare, nel complesso, la sequenza di episodi morbosi del lavoratore ai fini di una prognosi di compatibilità della presenza di quest’ultimo in rapporto agli interessi aziendali (Cass. 20 marzo 2019, n. 7849).
Avv. Angelo Zambelli, Co-Managing Partner Grimaldi Studio Legale
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