Controllate estere in stallo sui ricavi intercompany
Riportiamo integralmente un interessante articolo scritto dal Dott. Marco Piazza e dal Dott. Alessandro Savorana e pubblicato oggi sul Sole24ore
Controllate estere in stallo sui ricavi intercompany
Necessari chiarimenti delle Entrate sui servizi a valore scarso o nullo
L’agenzia delle Entrate non ha ancora emanato un documento di prassi sulle novità recate al recepimento della direttiva Atad, attuata con il decreto legislativo 142/2018. Chiarimenti sono attesi, in particolare, in tema di Cfc e nello specifico:
sulle regole concernenti la determinazione della soglia limite del terzo dei ricavi in presenza di operazioni poste in essere nell’ambito dei rapporti intercompany;
sulla disapplicazione del regime (quinto comma dell’articolo167 del Tuir) ove la società co ntrollata estera svolga un’attività economica sostanziale.
In tema di ricavi intercompany i nodi da sciogliere sono sostanzialmente due: il perimetro dei ricavi da considerare e, per i servizi, l’identificazione puntuale di quelli a basso o scarso valore aggiunto. Quanto al primo elemento, la direttiva (articolo 7, par. 2, n. vi) fa riferimento alle “società di fatturazione” che percepiscono redditi derivanti da beni e servizi acquistati da e venduti a imprese associate, aggiungendo un valore economico scarso o nullo; con ciò lascia intendere che i proventi da prendere in considerazione ai fini del computo della soglia dovrebbero essere solo quelli relativi a operazioni interne al gruppo, cioè quelle che il soggetto controllato estero ritrae dalla vendita di beni e servizi a società del gruppo relativamente a beni e servizi acquistati da società anch’esse appartenenti al gruppo. Sono pertanto esclusi:
i proventi dalla vendita a soggetti terzi di beni o servizi precedentemente acquistati in seno al gruppo;
i proventi realizzati nella vendita a società del gruppo di beni o servizi forniti/acquistati da soggetti terzi.
Sul punto, il dettato dei numeri 6 e 7 del novellato comma 4 dell’articolo 167 del Tuir sembra invece attrarre tutti i ricavi derivati da operazioni intragruppo, a prescindere pertanto dalla disposizione della direttiva. La relazione illustrativa non è di aiuto, per cui la questione dovrà essere affrontata e chiarita.
In merito, invece, ai servizi a valore economico scarso o nullo, si attende conferma delle indicazioni contenute nelle linee guida di cui al Dm 14 maggio 2018 adottate tenendo in considerazione il Rapporto finale sulle azioni 8, 9 e 10 del progetto Ocse/G20 e le linee guida Ocse approvate il 10 luglio 2017. Se confermate, non dovrebbero essere classificati come servizi infragruppo a basso valore aggiunto (e dunque esclusi nel computo della soglia dei proventi): servizi di ricerca e sviluppo; servizi relativi alle attività di lavorazione o produzione; attività di marketing o distribuzione; servizi di gestione della direzione aziendale.
Passando alla norma che riguarda la disapplicazione della disciplina Cfc, bisognerà capire come l’amministrazione intenda giustificare l’inversione dell’onere della prova a carico del soggetto controllante, nonché la documentazione necessaria da produrre. L’inversione dell’onere della prova della dimostrazione dell’abuso/elusione è già stata oggetto di censura da parte della Corte Ue (causa C-6/16 e cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16, e C-299/16) statuendo che debba ricadere sull’amministrazione fiscale.
Inoltre, il contrasto si è amplificato per effetto della clausola “generale” antiabuso/antielusione contenuta nell’articolo 6 della Direttiva Atad, trasfusa, per conversione, nell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente (legge 212/2000). Questo disallineamento interno implica una situazione giuridica complicata, nella quale la norma generale antiabuso, vale a dire l’articolo 10-bis dello Statuto, è conforme all’articolo 6 della direttiva Atad, mentre la disposizione specifica del Tuir (commi 5 e 11 dell’articolo 167) risulta in conflitto con il medesimo articolo 10-bis, nonché manifestamente contraria alle sentenze della Corte sopra citate.
Il fatto che in sede conteziosa l’applicazione del “principio di interpretazione conforme” (causa C-397/01, Pfeiffer), possa essere utile a rimuovere questo disallineamento e far prevalere i principi unionali, potrebbe costituire un rimedio. Sarebbe però più opportuno che il legislatore apportasse un’auspicata modifica dell’articolo 167 del Tuir, mediante un rinvio generalizzato all’applicazione dell’articolo 10-bis anche per il regime di Cfc.
[fonte dati : Il Sole 24 ore – 17 gennaio 2020]
Il Dott. Marco Piazza interverrà nel corso dell’evento “Le misure di contrasto all’aggressive tax planning (ATAD 1 e ATAD 2)” previsto a Milano il 20 febbraio 2020.
Nel corso della giornata di studi si esamineranno le numerose novità in materia di fiscalità internazionale contenute nel Decreto Legislativo di recepimento delle Direttive antielusione ATAD 1 e ATAD 2 (D. Lgs. n. 142/2018), anche alla luce della recente prassi applicativa e dei chiarimenti del MEF.
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